vSGMN17 |Cicloturismo e ciclismo urbano, un’alleanza necessaria

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In seguito al dibattito avvenuto all’evento “Verso Gli Stati Generali della Mobilità Nuova 2017“, vi proponiamo un approfondimento da parte di uno dei relatori intervenuti. Crediamo sia utile dare seguito alle analisi sui temi a noi cari, così da poterle condividere anche con chi non è potuto essere presente a Pesaro.

Buona lettura!

 

L’Italia, con evidente ritardo, pare aver scoperto il cicloturismo.

La realizzazione di importanti interventi come la Ciclabile della riviera ligure tra San Lorenzo e Ospedaletti, nota anche per la partenza della tappa inaugurale del giro d’Italia 2015, e la realizzazione di ampi tratti della Ciclovia Adriatica, in buona parte in sede protetta, hanno dimostrato che le buone infrastrutture sono in grado di attrarre ciclisti e di conseguenza portare ricavi sui territori.

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Anche a livello governativo, grazie ala nomina di Graziano Delrio al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, con la Rete Nazionale delle Ciclovie Turistiche Italiane, si è iniziato a definire un sistema che, se portato a compimento, secondo una proiezione potrebbe generare ricadute economiche per 3,2 miliardi di euro l’anno. La Rete vede già 4 progettazioni in corso finanziate sulla leggi di Stabilità 2016: Ciclovia del Sole, Ven-To, Acquedotto Pugliese e Grab e 3 in partenza. Infatti, recentemente, sono stati firmati i protocolli d’intesa Mit-Mibact, – Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo – e Regioni, che riguardano tre delle sei nuove ciclovie, previste dalla legge di Stabilità 2017: la ciclovia del Garda, la ciclovia della Magna Grecia e la ciclovia della Sardegna.

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Per la realizzazione del sistema nazionale di ciclovie turistiche il Governo ha stanziato per il triennio 2016/2018 89 milioni di euro, per le quattro ciclovie prioritarie previste, le ulteriori risorse previste dalla legge di bilancio 2017 pari a 283 milioni di euro andranno a finanziare la realizzazione di quelle ciclovie che verranno individuate dal MIT nel periodo 2017/2024.
Insomma, anche la ciclabilità pare essere entrata di buon grado fra le “infrastrutture di ‘serie A’” come ha affermato il Ministro. Tutto bene, quindi?

Forse no. Perché se la ciclabilità turistica e per svago raccoglie consensi e risorse, sulla mobilità urbana, quella di chi sceglie di muoversi ogni giorno in bicicletta, siamo ancora al palo, anzi forse a guardare i dati ISTAT sulla mortalità di chi sceglie le due ruote, in aumento in controtendenza rispetto a tutti al dato complessivo, stiamo anche regredendo.

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Perché se è vero che gli italiani hanno ri-scoperto la bicicletta come mezzo intelligente per spostarsi, le strade delle nostre città non sono ancora adeguate per accogliere chi si sposta in modo leggero.

Le cause sono diverse: la mancanza di volontà politica di riequilibrare gli spazi e i diritti dei diversi utenti della strada, una cultura tecnica mediocre e superata, un’atavica carenza di risorse delle amministrazioni locali e una normativa nazionale auto centrica e fumosa, ma in tutti i casi sembra mancare alla base di uno sviluppo organico della ciclabilità la volontà di considerare la bici al pari degli altri mezzi di trasporto, o anzi, come avvenuto in molti paesi europei, di preferirla e sostenerla per gli innumerevoli vantaggi correlati.
Inoltre il nostro Paese non brilla certo per la qualità dei sistemi integrati di mobilità. Pochi i treni su cui è possibile trasportare biciclette montate e pochi i posti a disposizione, assenza totale di indicazioni e impossibilità di riservare un posto bici. Anche l’accesso alle stazioni stesse è spesso complicato. Per non parlare poi dei trasporti urbani: se sulle metropolitane si può pensare negli orari non di punta di trasportare la propria bici, su tram e bus è ancora utopia. Si aggiunga anche la scarsa diffusione di parcheggi sicuri in struttura che, data l’altissima incidenza dei furti, disincentiva spesso l’approcciarsi di nuovi potenziali ciclisti.

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Insomma, l’Italia non pare essere ancora un paese intermodale e questo, non può che andare a discapito dell’efficienza di un sistema, che per sua natura deve essere integrato.
Ritornando al tema del cicloturismo, quindi, è difficile pensare che, nonostante gli investimenti in infrastrutture, senza una diffusa e concreta cultura della ciclabilità si possa costruire un territorio realmente attrattivo per turisti in bicicletta.

Immaginiamo una famiglia con bambini che decide di percorrere un tratto di una delle belle e nuove “ciclo autostrade” del Paese. Finché resta all’interno di un tracciato ben organizzato avrà la possibilità di godere delle bellezze nazionali, ma cosa succede a voler uscire e visitare uno dei tanti centri toccati dalle grandi arterie, spesso non collegati alle stesse? Come districarsi in un traffico caotico e su strade, che essendo ai margini della città spesso sono solo ad alta percorrenza, e velocità, di auto? Come attraversare aree periferiche e industriali senza l’ausilio di segnaletica? Come poter, ad esempio, prendere in quattro un treno per accorciare un pezzo di strada quando molti convogli, quando presenti, consentono il trasporto di sole due bici per vagone?

E’ ingenuo pensare che si possa diffondere il cicloturismo in Italia senza avere a contorno un contesto accogliente per i ciclisti, senza garantire, a tutti e ovunque prima di tutto la sicurezza di non venire ammazzati sulla strada.
Pensate al calcio: in Italia è lo sport nazionale perché si può praticare in ogni quartiere del più piccolo paesino, viene giocato nelle scuole, se ne parla ovunque e i media gli danno ampio spazio. Ogni strada può essere un campo di gioco, ogni portone una porta. Se si fossero costruiti solo i grandi stadi sarebbe bastato? Quando muoversi in bicicletta sarà semplice immediato e magari incentivato come il calcio potremo veramente pensare di essere un pese per ciclisti.
Ciclismo urbano e cicloturismo possono essere grandi alleati, ma il primo può esistere senza il secondo, non viceversa. Capiamolo prima che sia troppo tardi.

Beppe Piras

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